Quartett: La cinica parabola dell’uomo moderno

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Quartett: La cinica parabola dell’uomo moderno

quartettNapoli – Heiner Müller è dopo Brecht, uno dei più grandi drammaturghi tedeschi contemporanei. Morto nel 1995, è vissuto nell’arco storico cruciale  della Germania  la cui situazione socio-politica ha inevitabilmente influenzato la sua drammaturgia. Molto meno conosciuto rispetto a Brecht o a Beckett, la sua scrittura merita di essere avvicinata al pubblico di oggi, come sta accadendo in questi giorni al Teatro Elicantropo di Napoli (in Vico Girolamini) dove Carlo Cerciello ha ripreso dopo anni Quartett , opera composta da Müller nel  1981/2 e ispirata al romanzo di De Laclos “Le relazioni pericolose”,  noto ai più per l’adattamento cinematografico con Michelle Pfeiffer. L’adattamento che ha ricevuto nomination per gli Ubu nel 2000 quando Cerciello lo mise in scena per la prima volta, recitato da Imma Villa e Paolo Coletta è fortemente segnato dalla candida scenografia di forma cubica in cui un massimo di 28 spettatori siedono disposti in quattro spazi suddivisi da pellicole trasparenti; la prima particolarità dello spettacolo è un approccio intimo con il pubblico che viene letteralmente inglobato in una dimensione sospesa fra  richiamo settecentesco e un’apparenza acronica. In questi quattro spicchi i due personaggi,  Valmont e la marchesa di  Merteuil   dialogano senza toccarsi. Eppure, la brutale sessualità  assume  valore metalinguistico, metaforico sino a tingere tutta realtà cinica dell’uomo moderno, quella concreta e spirituale. In effetti, se nel romanzo il sadismo resta circoscritto alla relazione fra i vari personaggi, qui invece, con  Müller il sesso e il relativo linguaggio è più che icastica sino a definire  l’essenza narcisistica di tutta quanta la realtà. Perciò lo scambio di ruoli dei due protagonisti, null’altro che un maschio e una femmina, diventa la violenta lotta fra i due sessi  ridotti, a mo’ di  cruda sineddoche, semplicemente a genitali. La perdita della Bellezza a cui si fa riferimento con la consapevolezza del tempo che fugge ci proietta verso il disfacimento che la morte porta con sé, preceduto da quello dell’anima, dello spirito di cui le due psicologie appaiono ormai svuotate. Ognuno dei quattro spicchi della scenografia è un micropalco  che differisce dagli altri tre per angolatura; si cambia angolatura, si cambia percezione del personaggio ma restando  sempre immobilizzati in un cubo  troppo alto per sfuggirne, nonostante il suo  illusorio candore. La scelta stilistica della scena infatti, intuizione brillante di Carlo Cerciello, destabilizza lo spettatore introiettandolo visivamente in un contesto “leggiadro” ma che poi  si scontra con una drammaturgia fredda, arguta nella sua massima violenza. Solo la morte alla fine sembra quasi lasciar spazio alla sua forza freudianamente  contrapposta, all’amore. Ma è un barlume evanescente che scompare nel disperato delirio di onnipotenza con il quale l’uomo tenta di ingannare il suo progressivo disfacimento; perché alla fine anche un orgasmo non è mai il trionfo dell’Eros, quale  forza vitale, ma uno dei volti della morte e della sordida esistenza dei personaggi che restano  solo maschere, giocattoli assassini e spietati. Rimane, difatti, l’interrogativo: maschera o volto?  Probabilmente realtà indistricabili come Pirandello insegna, destinati a ritrovarsi contenitori deteriorati,  stavolta senza alcun cenno umoristico. Per la particolare struttura dello  spettacolo è necessaria la prenotazione. E’ in scena sino al 2 marzo all’Elicantropo, un piccolissimo spazio off nel cuore di Napoli. Conoscerlo, ne vale la pena!

Ester Formato

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