Schiavizzati, minacciati e picchiati. I lavoratori bengalesi annunciano uno sciopero. Guarda il video denuncia

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Schiavizzati, minacciati e picchiati. I lavoratori bengalesi annunciano uno sciopero. Guarda il video denuncia

protesta bengalesi santantimo 23032014_3Sant’Antimo (Na) – L’associazione Daada Ghezo di Sant’Antimo ha ospitato un’assemblea pubblica contro la schiavitù organizzata dall’associazione “A3 Febbraio” insieme ai lavoratori immigrati e ad altre associazioni quali  Agorà, Arcigay, Amef. Tanti i cittadini extracomunitari che hanno partecipato all’evento, ma comunque pochi rispetto a quanti vivono la condizione di schiavitù lavorativa, nei comuni tra Sant’Antimo, Grumo Nevano e Casandrino.  Fin da subito è circolata “la voce” che molti non hanno partecipato perché minacciati dal “padrone”; un certo Alim, cittadino bengalese arrivato in Italia molto tempo fa e che nel corso degli anni pare sia riuscito a mettere in piedi quattro fabbriche. Due sono sul territorio di Casandrino, una a Sant’Antimo ed una a Grumo Nevano. In esse vi lavorano molti suoi connazionali per oltre 12 ore di lavoro al giorno col timore di essere minacciati e picchiati alla sola richiesta di ricevere un adeguata retribuzione. Alim, secondo quanto raccontato dai cittadini bengalesi, fa arrivare i propri connazionali in Italia facendoli pagare cifre che si aggirano attorno ai 12 mila euro circa. Una volta arrivati cominciano a lavorare in una delle proprie fabbriche dove arrivano capi sartoriali già tagliati che devono solo essere cuciti ed imbustati. Ogni lavoratore svolge il proprio lavoro per più di 12 ore al giorno, ricevendo un compenso che nella migliore delle ipotesi si aggira intorno ai 250 euro mensili, dai quali, in alcuni casi; lo stesso Alim detrae circa 150 euro per il fitto del posto letto. Alcuni immigrati hanno raccontato di aver lavorato per Alim anche per sei mesi, ma di aver ricevuto solo due volte il misero compenso, cosi alla loro richiesta di voler recuperare i soldi dovuti Alim li avrebbe ricambiati facendoli picchiare da tre o quattro persone.

Il valore di questa assemblea è grande per il momento delicato che la lotta sta vivendo – si legge nel comunicato dell’associazione A3F – il padrone in questione infatti fin da ieri sera, coadiuvato da una banda di criminali, è andato in giro per le case dei fratelli bengalesi a minacciare chiunque avesse partecipato alla nostra manifestazione. La minaccia riguardava sia quella della perdita del lavoro che quella fisica.  Denunciamo con forza tale attacco e continuiamo con più coraggio sulla strada intrapresa. Chiediamo ancora di più oggi a tutti voi solidarietà, sostegno e schieramento – conclude.

Non solo aggressioni fisiche, ma anche violenze psicologiche con minacce vero le famiglie di origine. Questo è il clima in cui quotidianamente i cittadini extracomunitari presenti nei nostri paesi sono costretti a vivere. Come Alim, ci sono tanti padroni che sfruttano e schiavizzano altri extracomunitari. A questo punto c’è anche da chiedersi chi ci sia dietro questi padroni e se le istituzioni sono a conoscenza di questi fenomeni di schiavitù cha avvengono sui propri territori. Eppure tutti sanno della schiavitù di questi lavoratori, poichè così come confermato dagli stessi,  nelle fabbriche di Alim arriva materiale di sartoria già tagliato portato da cittadini italiani. Naturalmente i brands che ricorrono a questo tipo di manodopera sono nazionali, famosi e costosi.

Questo è solo l’inizio della protesta; tutti insieme stanno valutando l’ipotesi di bloccare la produzione per un intero giorno con uno sciopero che coinvolga non solo cittadini bengalesi ma tutti gli extracomunitari e i cittadini anche italiani che sono costretti a lavorare in queste condizioni. La campagna di informazione  per l’adesione allo sciopero, sarà capillare, effettuata porta a porta.

Dietro ogni capo di sartoria confezionato, c’è un essere vivente che rischia anche la morte, ma che a volte non si ribella alle violenze ed alle minacce, solo perché dall’altra parte del mondo c’è una famiglia che aspetta qualche euro per poter mordere un pezzo di pane.

Giovanna Scarano

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